Enrico 4
Mercoledì 30 aprile 2014 – Ore 21:00
di Michele Di Mauro
Moltissimo liberamente tratto dall’Enrico IV di Luigi Pirandello
Non perdete l’occasione di guardare questo incredibile Enrico 4., la liberissima performance verbale dall’Enrico IV di Pirandello che un Michele Di Mauro straordinario per intensità e bravura presenta quasi a margine della stagione, dopo averla ideata, scritta e costruita passo passo col musicista torinese Giuseppe “G.U.P” Alcaro, un altro che, quanto a creatività, non sembra avere nulla da imparare. Più che un monologo, più che un concerto è un esercizio di teatro allo stato puro, con un effetto fortemente rigenerante per chi vi assiste.
L’attore, nella sua articolata composizione drammaturgica, parte da alcune battute particolarmente emblematiche del testo pirandelliano – “Guardate: ancora biondo…”, le amare riflessioni del protagonista sullo scorrere della vita – e le integra, le intreccia di continuo con brani di autori diversi, da Nijinsky a Carver, dalle stralunate filastrocche di Petrolini all’Hamletmaschine di Heiner Müller. Il tema centrale del serrato “montaggio” è ovviamente quello della follia, o per meglio dire di un più ambiguo uscire da se stessi, del vedersi agire come dall’esterno, affrontato nelle sue innumerevoli varianti.
Cosa fa esattamente Di Mauro? Sulla densa partitura elettronica di Alcaro, un tessuto incessante di suoni, di rumori, di disarmonie, si apposta dietro un leggio, e armato di microfono – per un’ora circa – si avventura in uno dei più imprevedibili percorsi espressivi che sia dato immaginare: con folgoranti scarti, alterna la recitazione al canto, mescola Pirandello a Sergio Endrigo, ‘O surdato ‘nnammurato a Leopardi: anzi, recita ‘O surdato ‘nnammurato, ricavandone risonanze strazianti, e canta l’invocazione alla luna del pastore errante di Leopardi, dando però l’impressione di interpretarne i versi come pochi saprebbero fare.
Infilando e togliendo una corona di latta, l’Enrico IV lo cita appena, eppure riesce a lasciarne intatti tutti gli acri significati. In una scenografia ridotta solo a un cavallino a dondolo-giocattolo, accelera, frena, passa in un lampo dal riso al pianto, dai toni quotidiani a quelli più ispirati. A volte non termina neppure le parole, si limita a evocarle, trasformandole in mere emissioni vocali. E tuttavia non cade mai nel virtuosismo: corregge sempre gli eccessi di bravura con una nota derisoria. Più che sfoggiare la sua tecnica, pone in risalto una sorprendente quantità di paesaggi interiori, di suggestioni, di stati d’animo.